martedì 21 febbraio 2012

Giustizia: quanto vale la vita di un Uomo? E quanto invece vale la vita di un "Uomo in carcere”


di Valeria Centorame

Notizie Radicali, 20 febbraio 2012

Utilizzo sempre malvolentieri il termine detenuto o carcerato, perché si tende fin troppo spesso a generalizzare e dimenticare che dietro quell’appellativo ci sono uomini e donne… in carne ed ossa, rei e molto e troppo spesso innocenti.
Nelle società organizzate, la vita umana rappresenta un valore che richiede attenzione in termini di diritto e questioni di tipo etico determinano le scelte circa la difesa e la salvaguardia della vita, quando questa è messa in discussione da altri tipi di scelte, come la pena di morte.
Ma mentre si combatte giustamente la pena di morte fuori dai nostri confini, in Italia invece si continua a morire in carcere, DI carcere. E si continua a morire, abbandonati dalle istituzioni in una situazione drammatica di sovraffollamento e senza il rispetto dei minimi diritti fondamentali, quale il diritto alla salute, ed alla tutela della vita.
È notizia invece di poche ore fa: “La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per indagare sulle presunte carenze nei pronto soccorso degli ospedali della capitale. Dagli accertamenti dei Nas emergono carenze e disfunzioni strutturali. Il ministro della Salute Renato Balduzzi ha chiesto una “relazione dettagliata” al presidente della regione Lazio Renata Polverini”.
Nel frattempo in carcere, dove gli uomini e le donne non possono decidere autonomamente di avere accesso a cure mediche (le stesse cure che debbono essere garantite a tutti i cittadini), gli stessi uomini e donne se “reclusi” debbono compilare una “domandina” all’ufficio matricola per avere una visita medica, ed attendere ore, giorni a volte mesi.
Sig. Ministro se chiedesse una relazione dettagliata sulle carenze strutturali della nostra sanità in carcere verrebbe a sapere che non si viene curati in terra come nei pronto soccorsi romani, non si viene curati affatto… mentre in terra tra ratti e scarafaggi ci si dorme! Infatti una delle paure più ricorrenti in carcere è proprio quella di ammalarsi, perché senza assistenza medica anche una semplice influenza potrebbe essere fatale. Quanto vale la vita di un Uomo? E quanto invece vale la vita di un Uomo “in carcere”?
Sig. Ministro saprebbe poi sempre dalla relazione, che in carcere uomini e donne, colpevoli o semplicemente innocenti in attesa di giudizio, utilizzano i rasoi per depilarsi completamente per paura di attaccarsi pulci, zecche e piattole che in situazioni di promiscuità prolificano a non finire.
Sig. Ministro saprebbe inoltre che in carcere il degrado, l’insalubrità, il sovrappopolamento delle strutture penitenziarie e persino l’impossibilità di garantire l’approvvigionamento di generi per la pulizia sono fattori che costituiscono l’humus ideale per lo sviluppo di malattie infettive e ci si ammala di tubercolosi, scabbia, epatite, meningite e legionella!
Malattie infettive che il solo pronunciarle crea allarme sociale, preoccupazione e titoloni di giornale, ma se accade in carcere, beh... non ci fa caso nessuno, non fa notizia, tutto rimane relegato e rinchiuso dietro le mura medioevali degli istituti penitenziari tanto chiusi che non fuoriesce proprio nulla, figuriamoci un virus.
Che provvedimenti intende prendere Sig. Ministro mentre nel frattempo in carcere si continua a morire? Perché si continua a morire molto e troppo spesso anche per “morte naturale” e se dal 14 giugno 2008 sono trasferite al Servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dap e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, allora il Ministero della Salute È l’organo preposto affinché siano rispettati gli standard minimi promossi dall’Oms e quindi il responsabile della tutela della salute degli uomini e donne reclusi ed in custodia dello Stato, è proprio Lei, il Ministro della Salute!
Il 2010 si è chiuso con 173 morti in carcere, di cui 66 suicidi, nel corso del 2011 sono stati 186 i morti tra i detenuti nelle carceri italiane, 66 i suicidi, 96 decessi per cause naturali, un omicidio e 23 casi da accertare. La loro età media non arriva a 40 anni (39,3). Sig. Ministro cosa c’è di “naturale” nel morire nel fiore dei propri anni? Quante di queste persone si sarebbero potute salvare? Quanto il sovraffollamento incide nella mancanza di cure e di tempestività degli interventi sanitari? Quanto vale la vita di un Uomo? E quanto vale invece la vita di un Uomo “ in carcere”?
Sig. Ministro con una relazione dettagliata saprebbe che in carcere anche un semplice mal di denti si rivela un odissea di dolore, perché il dentista, come il medico, come lo psicologo sono insufficienti per garantire cure ad una popolazione quasi raddoppiata rispetto agli standard legali di capienza e nel frattempo si ha difficoltà ad avere accesso anche ad una semplice aspirina.
“Qui funziona così, si dimentica di essere un uomo, si dimentica di avere diritti, si dimentica di avere un anima. Ed alla fine si accetta tutto questo perché fa parte del sistema, perché quando si varca quella soglia si entra in un mondo a parte dove non esiste più uno stato di diritto ed una società civile, si smette di essere persone in carne ed ossa e si diventa “detenuti” e basterà questo appellativo per perdere all’istante ogni diritto umano, che si sia colpevoli o meno”.
E ripenso alle mille dichiarazioni e prese d’atto sul tema dei tanti politici, mi torna in mente ad esempio quella della Sig.ra Donatella Ferranti, deputata Pd in Commissione Giustizia della Camera, che cito testualmente “(Agenparl, 08 set) La tubercolosi in carcere “è inevitabile, visto il sovraffollamento e le condizioni quasi disumane in cui versano le nostre carceri” Un problema - spiega - che si è acuito anche con il fatto che il servizio sanitario nelle carceri è stato disgiunto dall’amministrazione penitenziaria e affidato poi alle Regioni”.
Benissimo sig.ra Ferranti mi dico… allora visto che alle parole seguono i fatti… lei è d’accordo con il provvedimento di indulto ed amnistia chiesto a gran voce dai radicali, come apripista ad una sacrosanta ed inevitabile riforma della Giustizia? Perché sappiamo tutti che ne lo “svuota carceri” o “salva carceri” che dir si voglia risolverà questo immondo problema. Ma poi rileggendo con la dovuta calma ed attenzione, mi colpisce l’utilizzo dei termini, ci ripenso, rifletto e rileggo la parola “inevitabile”… ma come “inevitabile”?? Stiamo parlando della vita di uomini e donne.
E sarebbe evitabilissimo se soltanto lo Stato rientrasse nella legalità, se soltanto si rispettasse la Costituzione che garantisce e tutela la salute e la vita dei cittadini. La Costituzione: la stessa che prevede l’amnistia, basterebbe solo questo, non umanità, non clemenza, ma il rispetto delle leggi e delle regole, o no? È proprio a partire dal potere del Ministro della salute di imporre la rimozione delle cause di malessere evitabile nei confronti dei cittadini detenuti. Tutto ciò è e deve essere evitabile. Quanto vale la vita di un Uomo? E quanto vale invece la vita di un Uomo “in carcere”?
In un paese civile il Ministro della Salute, una Commissione d’inchiesta, i Nas dovrebbero occuparsi di “tutto ciò”. Perché un paese civile non si rassegnerebbe ad utilizzare il termine “inevitabile”! In un paese civile la magistratura stessa aprirebbe un inchiesta sul trattamento inumano che si subisce nelle nostre carceri. Un’inchiesta proprio come quella aperta dopo le denunce dei giornali e le foto sulle carenze strutturali del pronto soccorso, oppure la vita di un uomo in carcere ha meno valore? E la magistratura Sa che per quanto riguarda la carenza di cure mediche ed il sovraffollamento che porta anche alla morte.
Il reato esiste ed è previsto all’interno del nostro codice penale, perché anche se l’Italia non ha mai introdotto (ancora) il reato di Tortura all’interno del codice penale, il reato esiste e viene ben descritto da Tullio Padovani, ordinario di diritto penale alla Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa: “È La tortura accettata come una normalità. Una normalità che diventa normativa e che si fa regola in qualche modo, e si fa regola ad esempio attraverso quella strana formula che è la “capienza tollerabile degli istituti penitenziari”. In realtà non si tratta di una situazione normativa, non si tratta di una situazione che sia regola, ma è una situazione che ha un altro nome. Chiaro, univoco, indiscutibile: si chiama delitto di maltrattamenti in base all’art. 572 del codice penale”. Perché in un paese civile la vita di un uomo “avrebbe” lo stesso infinito valore. Amnistia per la Repubblica.

Nessun commento:

Posta un commento