lunedì 3 ottobre 2011

LA CONDIZIONE CARCERARIA OGGI

Negli ultimi decenni il carcere ha visto mutare radicalmente la propria popolazione detenuta, tanto che da più parti è stato definito come discarica sociale o come luogo di marginalità, “in quanto vi trovano posto quelle figure sociali ai cui bisogni e alle cui criticità la società non trova risposta adeguata”.
Ciò è dovuto principalmente a ciò che Loïc Wacquant definisce «il grande internamento» delle fasce più deboli della società che ha preso il via dalle politiche di zero tollerance negli Stati Uniti d’America in nome della sicurezza delle città, “ma al prezzo di un internamento di larghe, larghissime quote di popolazione appartenenti all’area del disagio, della marginalità e, più genericamente, della povertà”. Fin dalla metà degli anni settanta, negli USA è stata rilanciata quella che Migliori definisce “l’industria del controllo del crimine” la quale ha significato “un incremento degli investimenti sul sistema penitenziario senza precedenti” rinvigorendo “anche l’iniziativa privata: percentuali sempre più importanti di detenuti vengono oggi amministrati dall’impresa carceraria privata”.
Alla spesa pubblica sempre più crescente non ha fatto seguito un altrettanto pronto investimento sulla popolazione detenuta, né sulle fasce sociali più svantaggiate. Anzi questa “bulimia carceraria”, come la definisce Wacquant, è stata causata dalla stretta repressiva attuata nei confronti della piccola delinquenza e dei tossicodipendenti, quasi tutti provenienti dalle fasce precarizzate della classe operaia e, in special modo, dalle famiglie del sottoproletariato di colore[5].
L’aumento dei tassi di carcerazione, sebbene in misura minore, ha interessato anche l’Europa, ma, a differenza degli Stati Uniti, il sistema carcerario non si è trasformato, come afferma Christie, in un business. “L’Italia, che nel 1991 aveva un tasso di carcerazione pari a 56 detenuti ogni 100.000 abitanti, aveva toccato nel periodo immediatamente precedente l’approvazione dell’indulto (legge 31 luglio 2006, n. 241) un tasso di 103 su 100.000, giungendo a questo traguardo attraverso una crescita costante”. Oggi il dato è ancora più preoccupante, infatti in data 19 maggio 2010 la popolazione detenuta ha raggiunto e oltrepassato la soglia delle 67.500 presenze a fronte di una soglia di capienza regolamentare di 43.074 unità.
Il 25 marzo 2010, attraverso il quotidiano Avvenire, la Fondazione Villa Maraini di Roma e l’associazione Saman hanno denunciato che ci sono più tossicodipendenti in carcere che nelle comunità di recupero: “nel 2006 c’erano 24.646 tossicodipendenti in carcere contro 17.042 in comunità; nel 2007 erano 24.371 in carcere contro 16.433 in comunità e al 30 giugno 2009 «secondo le statistiche ufficiali del ministero della Giustizia, ne risultano già oltre 26.000 in carcere». Sempre al 30 giugno 2009 le donne in carcere erano 2.779 (4,3%), gli stranieri al 10 novembre 2009 rappresetavano il 37% della popolazione (24.190) su una popolazione complessiva di 65.355 unità.
Chiaramente queste persone non sono detenute per il semplice fatto di essere tossicodipendenti, donne o extracomunitari. Sono detenute perché hanno commesso un reato o perché poste in custodia cautelare conseguentemente ad una imputazione. Rimane il fatto che il carcere è diventato sempre più lo strumento principale per contrastare quelle forme di disagio che “condizionano la commissione del reato”. Come afferma Margara, “la crescita dell’area della detenzione è […] frutto della crescita dell’area della detenzione sociale”. Tale crescita ha subito una grave accelerazione principalmente a causa di tre interventi legislativi: la Bossi-Fini, la ex Cirielli, la Fini-Giovanardi. La Bossi-Fini (che ha introdotto tra l’altro il reato di clandestinità) è del 2002 ma la sua applicazione ha dato “il botto finale” nel 2005: gli ingressi nel corso del 2005 di detenuti nelle carceri italiane sono aumentati da 82.275 (nel 2004) a 89.887, ma gli ingressi degli italiani sono diminuiti, “mentre gli stranieri spiegano da soli l’aumento complessivo” (da 32.249 sono saliti a 40.606). La ex Cirielli ha un duplice effetto. Da un lato, riduce per i recidivi l’applicazione della legge Simeone (cioè la sospensione dell’esecuzione della pena in attesa di misura alternativa) e quindi, aumenta le entrate in carcere, dall’altro lato, sempre per i recidivi esclude o ritarda l’applicazione delle misure alternative e, quindi, diminuisce le uscite. La Fini-Giovanardi, “varata in modo indecente ricorrendo ad un decreto legge di cui non ricorrevano i presupposti e blindata con la fiducia nella fase di conversione in legge”, equiparando le droghe leggere alle droghe pesanti, ha di fatto penalizzato “una parte importante di chi usa stupefacenti e che in precedenza veniva soltanto segnalato alle prefetture” .
È chiaro che, come rileva De Salvia riprendendo Beccaria, “se si continua ad aumentare la quantità delle norme che prevedono la pena detentiva (sono più di 35.000) «si aumenta il numero dei trasgressori ma non migliorano le condizioni della giustizia e della convivenza civile». In questo modo la tesi secondo cui il carcere deve rappresentare l’extrema ratio viene smentita dalla realtà dei fatti in quanto il carcere viene utilizzato come luogo di incapacitazione dell’individuo che vive ai margini della società.

Nessun commento:

Posta un commento