sabato 24 marzo 2012

CON L'INDULTO LA RECIDIVA E' DIMINUITA...UN'AMNISTIA AVREBBE EFFETTI POSITIVI

Intervista di Lanfranco Palazzolo a Giovanni Torrente.[La Voce Repubblicana, 22 marzo 2012]

Giovanni Torrente, facoltà di Giurisprudenza di Torino, ci spiega che l'indulto è positivo ma che l'amnistia è molto meglio. L'indulto del 2006 ha avuto degli effetti positivi sul sistema penitenziario italiano, ma l'amnistia potrebbe averne molti di più.
Lo ha detto alla "Voce" Giovanni Torrente, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Torino, che ha realizzato uno studio sugli effetti dell'indulto del 2006 per l'associazione. Antigone.

Giovanni Torrente, nel 2007 lei ha pubblicato un'analisi sugli effetti dell'indulto votato nel 2006 dal Parlamento. Quali sono state le conclusioni dello studio?
"Il nostro studio ha avuto diverse fasi nel monitoraggio. In ultima analisi siamo ani vati a prendere in esame i risultati di questo provvedimento nell'arco di cinque anni. E oggi possiamo dire che i risultati della nostra ricerca sono definitivi perché si riferiscono alla recidiva quinquennale. La ricerca conferma quanto era stato già dimostrato dalla letteratura negli anni passati quando si era trattato di studiare la recidiva per i provvedimenti di clemenza. La recidiva di persone che beneficiano di provvedimenti demenziali non è superiore rispetto a quella di chi esce dal carcere o finisce la pena entro i termini previsti. Nel caso dell'indulto del 2006 abbiamo notato tuia recidiva sensibilmente inferiore rispetto all'ordinario. Infatti, a cinque anni dall'entrata in vigore dell'indulto, la recidiva per i reati commessi è calata, dal 70 per cento circa, al 34 per cento. Il calo è stato molto sensibile".

L'indulto del 2006 ha prodotto effetti sul sistema penitenziario?
"Gli effetti sono stati indubbiamente positivi per lo svuotamento delle carceri. I beneficiari del provvedimento sono stati circa 35mila. La deflazione negli istituti di pena è stata molto sensibile. Il periodo nel quale il sistema penitenziario è tornato nell'ottica dei posti disponibili è stato di circa un anno. Tutto è tornato così nei canoni della legalità. L'amnistia potrebbe avere gli stessi effetti cancellando anche l'arretrato giudiziario".

Negli ultimi 20 anni l'assenza di provvedimenti di clemenza ha consolidato la microcriminalità?
"Il discorso è molto complesso. La carcerazione è spesso un elemento criminogeno invece che un momento di rieducazione del reo. Fino al 1990 i provvedimenti di clemenza erano frequenti. L'assenza di questi provvedimenti ha avuto un effetto negativo sul sistema carcerario dal punto di vista del sovraffollamento. I penitenziari si sono riempiti di ladri di polli".

Cosa pensa del dibattito sull'amnistia?
"Credo che il panorama politico sconti ancora il panico per l'entrata in vigore dell'indulto. Il termine amnistia è spacciato come una parola negativa. Lo abbiamo visto quando è stato approvato il decreto Severino, che è stato considerato un'amnistia mascherata".

martedì 20 marzo 2012

LA MIA PRIMA VOLTA IN CARCERE (lettera firmata)


Mi chiamo Gerardo Corsini e da tre lustri trascorro la mia vita tra cancelli e muri di cinta. Oggi ho una cella tutta per me in un carcere del nord, ma provengo dal sud. Non è stato sempre così. Il mio primo impatto con il mondo carcerario è stato traumatico. Non avrei mai potuto immaginare che quel maniero di cemento che vedevo tutti i giorni sarebbe stata la mia residenza per così tanti anni. Gli passavo accanto e non mi ha mai sfiorato l’idea che al di là del muro ci potessero essere delle non persone, ammucchiate in una misera stanza perennemente umida e mai abbastanza grande per contenere tanta sofferenza gratuita.
Dopo qualche giorno di cella di isolamento mi misero in una stanza con altre undici persone. Gli odori che emana il carcere e che poi ti si impregnano addosso sono difficili da descrivere, sono un misto di sudore, di umido, di aglio o cipolla che continuamente saltano in padella. Col tempo non senti più alcuna puzza perché diventa anche la tua. Ci si fa l’abitudine a tutto, anche al fatto che avevamo un cesso soltanto parzialmente separato dal resto della stanza. Il muro separatore non arrivava fino al soffitto, era stato costruito in seguito. I più anziani si ricordavano quando il cesso alla turca era lì in quell’angolo della cella e per creare un po’ di intimità lo avevano separato con un lenzuolo che andava da un muro all’altro tanto da creare un angolo retto. Il cesso alla turca non c’era più ed al suo posto una tazza. La puzza rimaneva la stessa e l’intimità, se così si può chiamare, era spesso disturbata dalle battute degli altri: «Hei tu, puzzi come un morto» oppure «Provaci con la sinistra, è più bello!» Per andare in bagno si aspettava l’ora d’aria, ma non tutti scendevano. Era così piccola che in stanza si stava più tranquilli.
Eravamo dodici persone, quattro letti a castello per tre piani. Chi dormiva al terzo piano doveva stare attento a non cadere (come si fa a stare attenti mentre si dorme?) e colui che occupava la terza branda vicino al cesso, era costretto a scendere ogni volta che vi entrava qualcuno perché dall’alto si poteva guardare all’interno. Per almeno tre mesi quella branda è toccata a me. Ci salivo solo per dormire. Le prime notti non chiudevo occhio perché ero abituato a dormire proprio dal lato del cesso, poi mi sono abituato a dormire anche dall’altro. Era veramente umiliante quel posto ma sapevo che spettava all’ultimo arrivato, soprattutto se questi non era un signor nessuno, come ero io. Quando arrivò la notizia che uno di noi sarebbe uscito di lì a poche ore ero così contento che cambiai subito posto, sempre con l’approvazione degli altri naturalmente. Eh si, era proprio così! Tutte le azioni dovevano essere approvate dal capo-cella, solitamente il più anziano, o il più esperto, o semplicemente chi apparteneva.
La prima volta che sentì parlare di appartenenza fu proprio quando entrai in quella stanza. Erano le tre di pomeriggio. Dormivano quasi tutti e c’era un silenzio strano. Il rumore delle chiavi svegliò tutti, mi guardarono entrare, qualcuno si presentò, poi mi fece avvicinare ad una persona che era stesa sul letto. Mi presentai, poi mi disse: «Appartieni a qualcuno?» Non sapevo cosa volesse dire ma gli risposi di no. Destinazione: terza branda in alto accanto al cesso. Misi poco ad imparare il linguaggio del carcere, anzi con gli anni ho cominciato a comportarmi come se appartenessi.
Ho chiesto il trasferimento al nord per studiare ed adesso sto per laurearmi. Avevo sempre sognato una laurea in Scienze Politiche, malgrado non avessi finito da ragazzo gli studi liceali. Al quarto anno abbandonai perché volevo lavorare, ero stanco di elemosinare ancora a diciassette anni la paghetta settimanale. Ero affascinato dall’idea di una vita on the road  e solo lavorando era possibile. Fu un errore.

sabato 17 marzo 2012

PERCHE' LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO DA' COSI' FASTIDIO AI GOVERNI?

di Lanfranco Palazzolo
La Voce Repubblicana, 16 marzo 2012

Anton Giulio Lana, avvocato Corte dei Diritti dell'Uomo, ci parla delle vere possibilità in mano ad ogni cittadino. Tutti i cittadini hanno il diritto di adire la Cedu. Lo ha detto alla "Voce" l'avvocato Anton Giulio Lana, avvocato patrocinante alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Prof. Lana, la presidenza britannica del Consiglio d'Europa sta tentando di modificare le regole della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu). Cosa ne pensa?
"La riforma del funzionamento della Corte europea è un tema sul quale si dibatte da molti anni. Come si suole dire, la Corte europea dei Diritti dell'Uomo è vittima del suo stesso successo. Nel senso che, nel corso degli anni, la Corte europea dei diritti umani è venuta ad assumere un ruolo sempre maggiore. Ed è sempre maggiore il numero delle persone che ricorrono a questo importante strumento per la tutela dei diritti umani. La Corte è ingolfata di questi ricorsi. Ecco perché si pensa ad una riforma e a come ripensare questo straordinario strumento dei diritti umani".

Che cosa è stato fatto finora?
"Sono state varate due riforme importanti. La prima è stata realizzata con il protocollo 11 del 1998 e una con il protocollo numero 14, entrata in vigore nel 2010. Adesso si discute nuovamente perché, sebbene l'ultima riforma sia molto recente, essa non pare risolutiva per alleviare il grande peso di ricorsi che la Corte riceve dai suoi 47 membri. Questa è la realtà dei dati. Ecco perché occorre sveltire le procedure dinanzi alla Corte perché sia tempestiva la procedura di fronte a questo organo dei diritti umani. Dall'altro lato vi è un intento, da parte di alcuni paesi membri del Consiglio d'Europa, di ridurre la portata e lo straordinario peso e autorevolezza che la Corte ha avuto con le decisioni che i paesi del Consiglio devono adottare".

L'obiettivo della Gran Bretagna è quello di restringere il raggio di azione della Cedu limitando il campo dei ricorsi?
"Il pericolo è proprio questo. L'importanza della Corte è dovuta all'importanza dei ricorsi individuali per ottenere una decisione di condanna dello Stato o degli Stati che hanno fatto violazioni. L'aspetto rivoluzionario della Corte Europea è dovuto proprio a questa possibilità data a tutti i cittadini. Questa peculiarità deve essere mantenuta. La Corte deve essere adita dalla vittima, dal singolo cittadino che vede violati i propri diritti. Il cittadino ha il potere di portare sul banco degli imputati lo Stato. Gli Stati hanno visto questa possibilità con perplessità perché l'hanno letta come una rinuncia alla loro sovranità. Alcuni Stati, infastiditi per le decisioni della Cedu, che sono state dirompenti nel proprio ordinamento interno, hanno cercato di introdurre dei filtri che - secondo me - non sono corretti".

Qual è stata la sentenza che ha fatto arrabbiare la Gran Bretagna?
"Senza dubbio quella sul diritto di voto delle persone detenute".

venerdì 16 marzo 2012

LETTERA DAL CARCERE DI AUGUSTA

Da una nostra fan riceviamo e pubblichiamo una lettera di alcuni detenuti del carcere di Augusta. Abbiamo scelto di pubblicarla così come ce l'hanno consegnata. [Articolo27]

I sottoscritti detenuti intendiamo denunciare tutte le disfunzioni che quotidianamente siamo costretti a subire e non per colpe dovute alla direzione dell istituto qui tutti i santi giorni vengono commessi dei crimini da parte dello stato.. oltre ad essere privati della libertà siamo privati della nostra dignità di esseri umani dovute alle carenze dell amministrazione per mancanza di fondi ..dalla polizia penitenziaria che con carenze di personale si ritrovano a fare i salti mortali per cercare di alleviare le nostre sofferenze e mettendo a repentaglio la loro incolumità per gravi carenze igenico sanitari agli assistenti sociali ed educatori che sono meno della metà e chiediamo di aprire un inchiesta formale e trovare gli eventuali colpevoli per violazione dell articolo 27 della costituzione e l articolo 23 della convenzione dei diritti dell uomo vogliamo pure evidenziare come siamo costretti a vivere in una stanza che ospiterebbe 1 sola persona ce ne stiamo 3 con l aqcua razionata per non più di 3 ore al giorno senza riscaldamenti e adesso pure senza luce e adesso passiamo al capitolo della sanità ogni giorno ci sono detenuti che rischiano di morire il dottore viene 1 sola volta alla settimana e quando ti prescrive un semplice analisi del sangue se ti va bene lo farai dopo 3 mesi se poi parliamo di visite specialistiche passano pure anni oltre tutto la struttura e fadiscente crolla a pezzi ed esce l aqcua dei muri dentro le celle con la speranza che questa nostra denuncia venga ascoltata da qualcuno perchè in questa struttura non si può parlare di legalità quando vivi tutti i giorni nell illegalità con osservanza e grazie ..........

giovedì 15 marzo 2012

QUALE CARCERE?

Cos'è il carcere oggi se non un non-luogo, un posto in cui nascondere il disagio sociale? Quando i nostri padri costituenti scrissero la Carta (art.27) pensavano ad un carcere umano, un carcere in cui la persona doveva essere accompagnata, seguita, istruita, non lasciata abbandonata a se stessa, non torturata da prassi burocratiche e dalla mania securitaria di custodi troppo zelanti e poco capaci di empatia.Parlare di ri-educazione oggi è come parlare dell'isola che non c'è poichè le persone preposte alla "gestione" dell'esecuzione della pena detentiva si sentono parti di un sistema autoreferenziale difficile da comprendere dall'esterno. Solo limitando l'autoreferenzialità è possibile pensare ad un carcere diverso. Ma, d'altra parte, l'autoreferenzialità è correlata indissolubilmente al potere, per cui limitare l'atteggiamento autoreferenziale significa togliere potere a chi è nel sistema delle pene. Nessuna persona del sistema accetterà mai qualsiasi istanza di cambiamento proveniente dall'esterno se questo inciderà sul sistema di potere esistente all'interno.Allora è alla società civile, soprattutto quella organizzata, che spetta di agire: dovrebbe "adottare" il carcere e gestire alcune attività che il carcere da solo non può fare, penso, per esempio, all'istruzione, alla formazione, all'accompagnamento (to care), allo sport, alle attività lavorative ecc. Solo se saremo in grado di trasformare il carcere in un luogo di formazione della persona potremo sperare che il carcere diventi strumento idoneo alla sicurezza dei cittadini e alla ri-abilitazione dei suoi ospiti.